Giulio Andreotti fu eletto senatore a vita per meriti in campo sociale e letterario. E, leggo su wikipedia, Andreotti fu tanto un politico quanto un giornalista quanto: uno scrittore. E non è un refuso.
Gli si attribuiscono più di cinquanta pubblicazioni. Per lo più si dovrebbe trattare di raccolte delle sue battute memorabili, di cui io non ne conosco che una, che ho poi scoperto essere sua quanto di Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, a proposito del potere che l’odora chi ce l’ha o una cosa così.
Tra i titoli, dall’avvincente “L’eucarestia nella vita sociale del 51″, del 51, all’ironico “Il senso dello stato”, del 1958, quello che mi attira di più è l’autofiction “Cosa Loro. Mai visti da vicino.” del 1995.
Di Andreotti, ormai anche da un bel po’ di anni, non come quando Busi scrisse il suo racconto negli Anni Settanta intendo, si può dire e se ne è detto di ogni, però che di lui si dica che è uno scrittore mi sembra sia la beffa finale: un uomo che ha detto ogni volta per meglio far intendere quello che aveva taciuto e che di tutto ha scritto tranne che di quello che avrebbe avuto un significato dirompente e dirimente il farlo, non può essere definito uno scrittore, o almeno non nell’accezione che ne dà Busi: se lo scrittore è il delatore per eccellenza, se è colui che a furia di dare informazioni esatte finisce col non averne più neanche su di sé, se è l’autobiografo dell’umanità e non il suo censore né tantomeno ne è il confessore che promette e permette perdono quindi impunità, asfissiante oscurità, di Andreotti passi che sia stato un politico, passi che sia stato un giornalista, ma uno scrittore no: il suo perfetto contrario, magari, questo sì.
I miei grati saluti,
Antonio Coda